Is animeddas

Pochi sanno che in Sardegna esiste una ricorrenza analoga al più celebre Halloween che si festeggia nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, Is Animeddas, la festa delle anime.

Le somiglianze sono tante, ad esempio la tradizione della zucca intagliata, sa conca ‘e mortu (la testa del morto) col lumicino acceso davanti a ogni casa, per cui si può ipotizzare una matrice comune, anche se la versione sarda si accompagna alla ricorrenza religiosa mentre Halloween è più legata ai rituali pagani degli antichi Celti.

Secondo le credenze, in quei giorni si aprono le porte del Purgatorio e le anime dei defunti sono libere di vagare nei luoghi in cui hanno vissuto.

La festa viene chiamata in modi diversi a seconda della zona, is animeddas nel campidanese, su mortu mortu, is panixeddas o su benes ‘e sas animas nel Goceano e Barbagia, su peti coccone in Baronia e a pedire sos moltos nel Logudoro, ma in tutta la Sardegna si celebra più o meno nello stesso modo.
I bambini, vestiti di stracci e maschere, formano un corteo funereo che vaga per le strade del paese e bussando a ogni porta chiedono un dono per le anime più sfortunate, recitando antiche filastrocche. Le offerte consistevano inizialmente in frutti di stagione o frutta secca e nel tradizionale pan ‘e sapa, un dolce a base di mosto d’uva cotto in forno, oppure in dolci e pani tradizionali, scolpiti a forma di bambole per le bambine o uccellini per i maschietti. I doni venivano riposti in sacchi, ceste o fazzoletti legati per i lembi.
Nel frattempo le famiglie preparavano un pasto frugale per i defunti e lasciavano la tavola apparecchiata tutta la notte, in modo che potessero cibarsi indisturbati.

Alcuni dettagli si possono cogliere nei racconti di chi ha vissuto Is animeddas da bambino.
Tutto iniziava nel pomeriggio, con il rintocco delle campane a morto che continuava fino alla mezzanotte del giorno dopo, creando un’atmosfera lugubre e triste, tranne per i bimbi eccitati che si preparavano alla questua. Una volta in giro era considerato indelicato bussare più di una volta ma spesso non era nemmeno necessario, perché le signore erano pronte ad accogliere i piccoli con affetto e ogni ben di dio, raccomandando le anime dei propri morti, po s’anima de figgia mia, oppure de mamai, o de babai (per l’anima di mia figlia o di papà o mamma). Al tramonto si rientrava per depositare il bottino e prima di mangiare quanto ricevuto si pregava per le anime come richiesto.
Il rito si concludeva il mattino dopo, il giorno dei Morti, con la funzione religiosa.

 

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