La Dea Madre

Il culto della Dea Madre, divinità primordiale presente nelle culture preistoriche di tutta Europa, anche in Sardegna assume un ruolo cardine e diventa il centro attorno a cui si sviluppano i primi insediamenti risalenti al neolitico e per tutto il periodo prenuragico, come testimonia il ritrovamento dei numerosi reperti.

Secondo le ipotesi di noti esperti, la sua importanza era dovuta al fatto che nella preistoria, non essendo chiaro il nesso tra concepimento e nascita, la capacità della donna di dare la vita la rendesse detentrice di un potere da cui dipendeva la sopravvivenza della specie. Un potere che era precluso all’uomo, per cui essa partoriva apparentemente dal nulla, cambiando  le sue sembianze da fanciulla a madre e viceversa, e col suo corpo nutriva il nuovo nato.

La sua funzione accompagnava l’uomo fino al  trapasso. Il rito della sepoltura rappresentava un ritorno al conforto del grembo materno, con l’inumazione nel grembo della terra, da cui gli veniva assicurata la rinascita nell’aldilà. Il corpo del defunto veniva prima cosparso di ocra rossa, a simulazione del sangue di cui era ricoperto alla nascita perché doveva presentarsi così come era arrivato, e sepolto insieme al corredo e a una effigie della Madre.
A partire dall’età del bronzo il culto della Dea iniziò a essere soppiantato da una divinità maschile più bellicosa, ma il suo fascino, legato al mistero della sua presenza nelle varie culture, continua a nutrire l’immaginazione di archeologi e appassionati di tutto il mondo.

Esistono più di 130 statuette, ritrovate nelle grotte e nei siti funerari di tutto il territorio, solo 5 di queste sono figure maschili, le altre sono tutte raffigurazioni della Grande Madre, realizzate in varie forme e materiali. La più antica è la venere di Macomer, purtroppo erosa e mutilata, ma la versione più  grande e ben conservata è la Dea Madre di Turriga, ritrovata da un contadino nel 1935 e conservata dai figli, fino al recupero da parte di un medico che la affidò agli esperti. Oggi è custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

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